Oggi a Roma ho visto in televisione che c’รจ stato un forte temporale, anzi un nubifragio. Addirittura dei colleghi della sede di Roma non sono arrivati nemmeno in ufficio. Dicono che a Roma nellโarco di 3 ore sono cadute in media 120 mm di pioggia. Una cittร messa nel caos.
Un altro temporale ha scosso la Libia oggi. E’ un temporale che resterร nella storia della lotta per la democrazia in Libia. Muammar Gheddafi รจ morto. E con lui finisce un regime durato oltre 40 anni.
In questi mesi di guerra in Libia ho pensato tante volte ai civili.
Chissร quanto dolore per quelle persone che hanno vissuto quest’ultimo anno in Libia: alcuni sono riusciti a scappare, altri sono rimasti, altri sono morti. Di molti di loro non sapremo mai il nome. Volti di uomini, donne, bambini, anziani che non conosceremo e che non hanno ricevuto nemmeno una degna sepoltura.
Pensando a queste persone, in questi mesi ho avuto un forte desiderio che Gheddafi (e relativo entourage) morisse. Non รจ nobile desiderare la morte di un’altra persona, anzi รจ una cosa che oscura il cuore. Ma mi era insopportabile pensare a tutte queste persone coinvolte in una guerra, nella quale magari nemmeno loro credevano.
Ho visto le foto di Gheddafi da giovane, immagine del dittatore potente, del vittorioso, dell’inespugnabile.
Non mi piacciono i dittatori. Non mi piace chi opprime il prossimo.
Per questo non mi piaceva Gheddafi, per questo non mi piace Berlusconi, e per questo non mi piace chi parla con il compagno che ha accanto e si autocelebra divagandosi in discussioni logorroiche senza dare l’opportunitร all’altro di esprimersi.
E’ un dipinto disgustoso che mi ha fatto venire in mente la frase di una poesia “Gli oppressi sono oppressi e tranquilli, gli oppressori tranquilli parlano nei telefoni, l’odio รจ cortese, io stesso
credo di non sapere piรน di chi รจ la colpa”.
Pensando a queste parole e pensando al temporale che c’รจ stato a Roma, il mio pensiero va a Franco Fortini e a questa sua meravigliosa poesia.
Traducendo Brecht
“Un grande temporale
per tutto il pomeriggio si รจ attorcigliato
sui tetti prima di rompere in lampi, acqua.
Fissavo versi di cemento e di vetro
dov’erano grida e piaghe murate e membra
anche di me, cui sopravvivo. Con cautela, guardando
ora i tegoli battagliati ora la pagina secca,
ascoltavo morire
la parola d’un poeta o mutarsi
in altra, non per noi piรน, voce. Gli oppressi
sono oppressi e tranquilli, gli oppressori tranquilli
parlano nei telefoni, l’odio รจ cortese, io stesso
credo di non sapere piรน di chi รจ la colpa.
Scrivi mi dico, odia
chi con dolcezza guida al niente
gli uomini e le donne che con te si accompagnano
e credono di non sapere. Fra quelli dei nemici
scrivi anche il tuo nome. Il temporale
รจ sparito con enfasi. La natura
per imitare le battaglie รจ troppo debole. La poesia
non muta nulla. Nulla รจ sicuro, ma scrivi.“