Barca

Stamattina stavo avevo in mano un foglio di carta bianco e mi รจ venuto d’istinto di provare a fare l’origamo di una barca.
Ed eccomi a riflettere sulla parola barca. E’ una parola che mi ha dato da sempre l’idea di un qualcosa di magico: quando siamo su una barca guardiamo il cielo, sfioriamo il mare, osservando i fondali marini, e alla fine approdiamo a terra.

Come dice il proverbio “alla fine tutti siamo sulla stessa barca”. Un proverbio molto saggio, che ci fa riflettere sul fatto che dovremmo sentirci un pรฒ piรน fratelli, in quanto immersi spesso nelle stesse condizioni, aldilร  del colore della pelle e di tutto ciรฒ che ci fa sentire distanti dagli altri.

A volte si fanno delle estati in barca, approdando da una parte all’altra, per poi ripartire, immersi nell’azzurro del mare ad abbronzarci. Stando sulla barca ci sentiamo liberi e lontani dal quotidiano, sapere che siamo in balรฌa delle onde รจ avventuroso e ci fa sentire vivi. Perรฒ รจ anche vero che se non ci fosse una sponda, una meta finale, forse il viaggio in barca perderebbe tutta la sua magia e il mare diventerebbe quotidianitร  e magari anche prigione.

Barca a vela, barca a motore…o barca di origami, come quella che ho provato a fare stamattina. Queste ultime sono le piรน semplici da costruire, di carta bianca o colorata, messe a galleggiare nell’acqua.

Karol Wojtyla ha scritto intorno al 1960 una poesia intitolata “Le mani e le fonti”, dove dice che “Mani invisibili proteggono la barca sulla rotta tracciata dagli eventi, malgrado tanti banchi di sabbia”.

Walt Whitman ha citato la parola barca, nella sua poesia “I hear America singing” ossia “Sento cantare lโ€™America”:

“Sento cantare lโ€™America, sento i suoi diversi canti.
Sento i canti dei meccanici, ognuno che canta il suo come dovrebbe essere, gioioso e forte,
canta il falegname mentre misura assi e travi,
canta il muratore mentre si prepara al suo lavoro, o smette di lavorare,
canta il barcaiolo il canto che gli รจ proprio nella sua barca,
canta il mozzo sul ponte del vapore,
canta il calzolaio seduto al suo desco e ritto in piedi il cappellaio canta,
sento il canto del taglialegna, quello dell’aratore per strada, al mattino, durante la pausa di mezzogiorno o al tramonto,
sento il dolce canto della madre, o della giovane sposa al lavoro, o della ragazza che cuce e lava.
Ognuno canta ciรฒ che spetta a lui o a lei e a nessun altro:
il giorno ciรฒ che spetta al giorno, di giorno la compagnia dei giovani vigorosi, cordiali
canta a piena voce i suoi canti forti e melodiosi.”

E dalla barca, passiamo al battello, che da’ forse l’idea di una cosa molto piรน instabile ed imprevedibile. Forse questo pensiero ha spinto Arthur Rimbaud a scrivere la sua poesia Le Batteux Ivre, in cui narra la storia di un battello da carico, che rimasto senza equipaggio, si abbandona in libertร  alla deriva in balia dei fiumi e degli oceani, assistendo cosรฌ, a spettacoli che vanno aldilร  della realtร  quotidiana. Alla stessa maniera del battello il poeta si abbandona ad esplorare questo nuovo mondo, distaccandosi dalla solita realtร  ed immergendosi, in una dimensione visionaria.

E’ proprio il battello/poeta che in prima persona racconta la sua storia. Alla fine perรฒ il poeta si rende conto dell’impossibilitร  di continuare quel viaggio, di procedere oltre ed ecco il conseguente ritorno alla realtร , di reimmettersi nei confini della normalitร  e della vita banale.
Questa poesia, scritta da Rimbaud a 17 anni, รจ molto bella e particolare. Il testo รจ molto lungo, quindi riporto solo la parte finale quando il poeta si reimmerge nelle acque della realtร :

“Io, battello perduto nei crini delle cale,
Spinto dall’uragano nell’etra senza uccelli,
– nรฉ i velieri anseatici, nรฉ i Monitori avrebbero
Ripescato il mio scafo ubriacato d’acqua;

Libero, fumigante, di brume viole carico,
Io che foravo il cielo rossastro come un muro
Che porti, leccornie per i buoni poeti,
Dei licheni di sole e dei mocci d’azzurro;

Io che andavo chiazzato dalle lunule elettriche,
Folle trave, scortato dagli ippocampi neri,
Quando il luglio faceva crollare a scudisciate
I cieli ultramarini dai vortici infuocati;

Io che tremavo udendo gemere acento leghe
I Behemot in foia e i densi Maelstrom,
Filando eternamente sulle acque azzurre e immobili,
Io rimpiango l’Europa dai parapetti antichi!

Ho visto gli arcipelaghi siderei e delle isole
Dai cieli deliranti aperti al vogatore:
– E’ in queste notti immense che tu dormi e t’esili
Stuolo d’uccelli d’oro, o Vigore futuro?

Ma basta, ho pianto troppo! Le Albe sono strazianti.
Ogni luna mi รจ atroce ed ogni sole amaro:
L’acre amore mi gonfia di stordenti torpori.
Oh, la mia chiglia scoppi! Ch’io vada in fondo al mare!

Se desidero un’acqua d’Europa, รจ la pozzanghera
Nera e gelida, quando, nell’ora del crepuscolo,
Un bimbo malinconico abbandona, in ginocchio,
Un battello leggero come farfalla a maggio.

Non posso piรน, bagnato da quei languori, onde,
Filare nella scia di chi porta cotone,
Nรฉ fendere l’orgoglio dei pavesi e dei labari,
Nรฉ vogar sotto gli occhi orrendi dei pontoni.”

Ma voglio concludere con Mario Luzi, uno dei piรน grandi poeti del ‘900. Questa poesia l’ha scritta a vent’anni ed รจ un meraviglioso inno alla speranza universale, un invito al viaggio, alla navigazione della vita, alla ricerca di noi stessi e delle nostre origini:

“Amici ci aspetta una barca e dondola
nella luce ove il cielo s’inarca
e tocca il mare,
volano creature pazze ad amare
il viso d’Iddio caldo di speranza
in alto in basso cercando
affetto in ogni occulta distanza
e piangono: noi siamo in terra
ma ci potremo un giorno librare
esilmente piegare sul seno divino
come rose dai muri nelle strade odorose
sul bimbo che le chiede senza voce.

Amici dalla barca si vede il mondo
e in lui una verita’ che procede
intrepida, un sospiro profondo
dalle foci alle sorgenti;
la Madonna dagli occhi trasparenti
scende adagio incontro ai morenti,
raccoglie il cumulo della vita, i dolori
le voglie segrete da anni sulla faccia inumidita.

Le ragazze alla finestra annerita
con lo sguardo verso i monti
non sanno finire d’aspettare l’avvenire.
Nelle stanze la voce materna
senza origine, senza profonditร  s’alterna
col silenzio della terra, e’ bella
e tutto par nato da quella”